
Il caso Roma: nuova costruzione senza permesso e obbligo di demolizione(www.casalive.it)
Il Consiglio di Stato chiarisce definitivamente i limiti e le possibilità di applicazione del cosiddetto Decreto Salva Casa.
La pronuncia riguarda un caso di opere realizzate senza permesso nel comune di Roma e ribadisce l’esclusione di un condono edilizio generalizzato, precisando anche quando è possibile ottenere una sanatoria e quando invece è obbligatorio procedere alla demolizione.
La vicenda in esame ha origine nel 2014, quando il Comune di Roma ha rilevato, a seguito di un accertamento, la realizzazione di opere edilizie prive di qualsiasi autorizzazione. Secondo l’amministrazione capitolina, l’intervento – consistente in un aumento volumetrico significativo dell’edificio originario – doveva essere qualificato come “nuova costruzione” ai sensi del Testo Unico Edilizia (D.P.R. 380/2001).
Di fronte all’ordine di demolizione emesso, il proprietario aveva sostenuto che si trattasse di una semplice ristrutturazione e che quindi l’intervento fosse sanabile con una SCIA o mediante accertamento di conformità, ai sensi dell’articolo 37 del T.U. Edilizia. Dopo vari ricorsi, la questione è arrivata nuovamente al Consiglio di Stato. Quest’ultimo ha confermato l’ordine di demolizione, sottolineando che un ampliamento volumetrico superiore al 20% configura inequivocabilmente una nuova costruzione, soggetta a permesso di costruire, e che in assenza di tale titolo edilizio non è ammessa alcuna sanatoria.
La sentenza ribadisce inoltre il principio giuridico secondo cui il giudicato copre non solo ciò che è stato dedotto in giudizio, ma anche ciò che poteva essere dedotto (deducibile). Pertanto, non è possibile riesaminare la qualificazione dell’intervento come nuova costruzione in un successivo procedimento di sanatoria ex art. 37 D.P.R. 380/2001.
Decreto Salva Casa: non un condono e limiti alla sanatoria
Il proprietario aveva inoltre invocato l’applicabilità del Decreto Salva Casa (D.L. 69/2024), sperando di usufruire delle nuove soglie di tolleranza e delle facilitazioni previste per le irregolarità edilizie. Il Consiglio di Stato ha però escluso categoricamente questa possibilità per due ragioni fondamentali:
- Non retroattività: il decreto non si applica a interventi realizzati prima della sua entrata in vigore;
- Tipologia di irregolarità: il decreto riguarda esclusivamente lievi difformità, come piccoli scostamenti progettuali o errori formali, mentre l’ampliamento volumetrico contestato nel caso è ritenuto una violazione grave e non sanabile.
In merito al silenzio del Comune sull’istanza di sanatoria, la sentenza precisa che la mancata risposta equivale a un diniego tacito. Tale orientamento, già consolidato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 42/2023), conferma che per opere palesemente non sanabili l’amministrazione non è obbligata a fornire una risposta formale.

Una delle strategie più comuni di difesa in contenziosi edilizi è la richiesta di sostituire l’ordine di demolizione con una sanzione pecuniaria, richiamando l’articolo 33 del Testo Unico Edilizia. Tuttavia, il Consiglio di Stato chiarisce che questa opzione è ammessa solo in casi eccezionali, in cui si dimostri che la demolizione potrebbe compromettere la stabilità della parte regolare dell’edificio.
Nel caso esaminato, tale prova non è stata fornita in modo convincente. La possibilità di sostituire la demolizione con una multa è una deroga che deve essere comprovata attraverso perizie tecniche dettagliate e documentazione specifica. Non è sufficiente sostenere genericamente che l’abbattimento sia oneroso o difficile.
Inoltre, il Consiglio di Stato ha sottolineato che la valutazione sulla sostituzione dell’ordine con la sanzione pecuniaria costituisce una fase successiva e distinta rispetto all’adozione dell’ordine di demolizione. Quest’ultimo rimane quindi legittimo e non viene automaticamente annullato dalla mera possibilità di pagare una multa. La sostituzione può essere considerata solo in sede esecutiva e in presenza di un impedimento oggettivo alla demolizione.